La resistenza
Un racconto di una 20 di pagine pubblicato nell'antologia "Storie straordinarie per vite ordinarie" edito da Multiplayer Edizioni. In questo volume troverete altri 32 racconti di diversi autori che hanno vinto il concorso letterario grazie alla giuria tecnica o il favore dei lettori.
Il mio fa parte di questi ultimi! Un grazie a tutti i Lettori che mi seguono in ogni iniziativa!
Il volume è in vendita on line, sia in forma cartacea che in ebook al seguente link.
Storie straordinarie per vite ordinarie
Ok ragazzi, come sapete non sono uno scrittore e non ho un editore. In passato però ho partecipato più volte a qualche contest di scrittura, così per divertimento. La prima volta in uno radiofonico 'C'era una Notte nel 2000' su Radio Dj. In seguito contest di scrittura vari, e ultimo in uno lettario non so più quanti anni fa dove i racconti più belli venivano pubblicati in una raccolta che poi è stata pubblicata (in giro sul blog una pagina dedicata). Mentre le storie sono state scelte da una 'giuria' di 'esperti' alcune sono entrate nella pubblicazione per il volere dei Lettori che hanno scelto le opere più meritevoli. Il mio racconto è stato tra i più votati e quindi è stato inserito. Clausole contrattuali mi hanno impedito di condividerlo, ma i termini sono scaduti e ho deciso di regalarlo a Voi.
Il contest era focalizzato su come una vita ordinaria potesse vivere storie straordinarie grazie alla tecnologia odierna. Focus che hanno centrato in... bah... forse due in tutto me compreso. Il resto dei racconti erano infatti andati completamente fuori tema, ma si vede che alla 'giuria' importava meno di nulla. Così come in genere la pubblicazione che non ha brillato in nulla. Un fallimento quindi? Non per me. Infatti non ho convito 4 persone sulla bontà del mio testo, ma oltre 44.000. Che non è proprio una schifezza. Ora... sono trascorsi tanti anni... troppi forse... oggi non è più una grande idea come lo era ai tempi, ma resta un racconto piacevole a mio avviso. Spero vi piaccia. Buona lettura!
Ps... scusate la formattazione, ma blogger ha i suoi limiti.
La Resistenza
Il Piano di Mark
Avevamo trascorso fin troppo tempo a tracannare birra, le idee fiaccavano quella sera e, nonostante tutti i tentativi di renderla proficua, ben presto ci rendemmo conto che non stava portando a nulla. A nulla portava lo studio attento della mappa del territorio, a nulla le simulazioni effettuate nella speranza di scoprire un edificio abbastanza grande da poter ospitare la squadra al completo, a nulla nemmeno la fantasia di Mark che di solito in queste situazioni trovava una soluzione brillante per tirarci fuori dai guai. Una sera come tante altre ma che non andava per il verso giusto, forse perché quella volta non c’era aria di vittoria.
Mark stappò l’ennesima birra e si accomodò alla meglio accanto alla parete di cemento.
“Nessuna idea quindi?”
Ronny scosse la testa, poi osservò la mappa e indicò con la sigaretta che si apprestava ad accendere, la zona a sud della cittadella.
“Se il fiume fosse coperto di vegetazione, forse potremmo…”
“Non lo è…” interruppe subito Jackstrow. “Non c’è modo di oltrepassarlo senza essere visti.”
Io annuii.
“Allora non ci resta che il ponte.”
Mark sorrise, un sorriso enigmatico che diceva tutto. Aveva perlustrato la zona per ore, cercando un punto debole, un’insenatura, qualunque cosa potesse permetterci di sopravvivere fino a raggiungere le fondamenta di quel maledetto ponte senza essere visti. Non aveva trovato nulla e se Mark non aveva trovato nulla, voleva dire che non c’era nulla da trovare.
Era il migliore, lo sapevamo tutti e lo sapeva anche lui. Una supremazia che non piaceva molto al resto della squadra, perché lo rendeva talvolta arrogante. Non parlava molto, ma quando lo faceva, non era certo per fare complimenti, anzi pronunciava una serie di sproloqui e insulti che secondo lui risultavano divertenti.
A dirla tutta, io li trovavo davvero divertenti perché spezzavano la tensione nei momenti più difficili. A meno che fossero diretti a me, in tal caso erano meno divertenti, molto meno. Il fatto è che non tollerava sbagli in missione, soprattutto errori stupidi.
Anche lui, pur essendo il migliore, ogni tanto sbagliava. Ricordo la volta che aveva scambiato l’ombra di un albero per un cecchino. Era rimasto fermo immobile per un tempo immemorabile sparando a una foglia. Il cecchino c’era davvero, ma era barricato in cima a un campanile e prima di riuscire a stanarlo, aveva decimato quasi tutta la squadra. Avevamo evitato il peggio per un soffio. Da allora gli avevamo appioppato il nomignolo di “Foglia” e a tutt’ora quando esagerava con le sue sfuriate, lo sfruttavamo a nostro vantaggio.
Un nomignolo ti si attacca addosso come la pece sulle mani. Ci vuole un attimo per sporcarsi, ma per pulirle le devi lavare più volte e ciò nonostante resterà sempre un residuo nero sotto le unghie.
Tutti noi abbiamo un nomignolo e nessuno lusinghiero. Io ad esempio sono Sephir “Il Senza”, Jackstrow è “Riccio”, Ronny il “Gatto Morto”, Tommyleee (esatto con tre e) il “Ciaina” e Giuppy il “Rana”.
Così vi ho presentato tutti i componenti della squadra, ma quella sera non eravamo al completo. La metà di noi si stava leccando le ferite dell’ultima battaglia. Era stata dura anche quella, ma questa sarebbe stata più dura, molto più dura.
“Io dico che l’unica via è quella di passare per la cittadinella.”
“Si raddoppiano i rischi, lo sapete tutti. Ci sono troppi edifici da controllare e il tempo è poco.”
“Gli edifici sono troppi per noi, ma anche per loro. Se siamo fortunati, possiamo…”
“Fortunati? NOI? Ti ricordo la chiesa…”
Mi scappò una risata. Ronny non aveva tutti i torti, la fortuna non è mai stata una nostra alleata. Anzi, direi il contrario. Più di una volta ci siamo ficcati in situazioni al limite dell’incredibile. La chiesa era stata una delle più assurde.
Eravamo nel bel mezzo di un conflitto, tutta la squadra era riuscita ad arrivare incolume attraversando il centro della città, sotto il fuoco incrociato del nemico. Eravamo perfino sopravvissuti ad un raid aereo con tanto di bombardamento, fino appunto da essere costretti a rifugiarci nella cattedrale.
Per occuparla in sicurezza, bastavano quattro uomini e noi eravamo ben in sei. Un’occasione più unica che rara, che ci permetteva di poter sfruttare al meglio una delle posizioni più rilevanti sul territorio. Con le sole due entrate, controllate da ben quattro soldati, era praticamente impossibile varcarne la soglia. Con il “Rana” sul campanile come vedetta fissa, sapevamo con buon anticipo le mosse che intendeva fare il nemico. Praticamente eravamo in un edificio inespugnabile.
Io ero sul tetto, controllavo la parte sud-ovest, in direzione delle parco, una delle vie più facili per giungere alla cattedrale senza essere visti. Ronny invece si limitava a correre in giro nel tentativo di avvistare e scoprire eventuali avanscoperte nemiche.
Tutto andò bene fino a quando una squadra di tre tedeschi decise di colpire senza sosta un ingresso con bombe incendiarie. In breve la cattedrale fu invasa dal fumo. Decidemmo in contemporanea di indossare i visori termici, non tenendo in considerazione che eravamo circondati da un mare di fiamme. Il primo ad accorgersi dell’errore fu Mark, che riuscì a salvarsi da una raffica più per miracolo che per bravura. Gli altri non ebbero scampo e furono costretti ad uscire all’esterno per sopravvivere. Io e il resto della squadra eravamo sul tetto, rimasti ignari e convinti che il trambusto sotto di noi fosse opera dei nostri compagni. Fummo sorpresi alle spalle poco istanti dopo che Ronny ci aveva comunicato via radio la situazione. Riuscimmo a fuggire appena in tempo, con una manovra evasiva fin troppo azzardata. Una battaglia persa stupidamente, anche se, alla resa dei conti, nessuno ci aveva rimesso la pelle e solo il Gatto Morto si era beccato un paio di proiettili alla schiena. Il giubbotto militare aveva fatto il resto e se l’era cavata con un paio di medicazioni e nulla più.
Ciò nonostante, era stata una sconfitta clamorosa e la “sfortuna” che ben quattro soldati avessero compiuto simultaneamente lo stesso sbaglio, fu la motivazione per cui decidemmo di adottare tale parola per tutti gli errori stupidi che avremmo compiuto in futuro.
In guerra però non c’è possibilità di sbagliare troppo, perché non sempre ci può essere un’occasione per sbagliare ancora.
“Sentite gente se non c’è soluzione, l’unica via resta quella di Ronny, per quanto pericolosa possa essere. Si sta facendo tardi, fra poco non riusciremo nemmeno a vedere la mappa e io sono stanco morto. Quindi decidiamo un piano per domani” disse Jackstrow posando la bottiglia vuota accanto alle altre tre già presenti ai suoi piedi.
“Concordo, domani sarà…”
“Quanti di voi hanno ancora l’uniforme Black Night?” interruppe Mark.
L’avevamo tutti, ci aspettavamo che continuasse a parlare, ma invece si limitò ad osservare la mappa sfruttando la poca luce rimasta.
“E i Night Vision?”
Lo stesso scambio di assensi, seguito dal solito silenzio di Mark ormai immerso nei suoi pensieri.
“Quindi?”
Certe volte Mark ha la capacità di estraniarsi dal resto del mondo, qualunque cosa succeda intorno a lui. Poteva scoppiargli di fianco una Molotov e non se ne sarebbe neppure accorto, figuriamoci sentire la voce di Ronny che dovette ripetere la domanda prima di ottenere la sua attenzione.
“Quindiiiii?”
“Quindi si passa dal fiume” disse finalmente.
“Se hai detto che non ci sono possibilità!”
“Vero, di giorno non ci sono possibilità. Ma di notte…”
“Vuoi attaccare di notte? E come pensi di fare?”
Mark sorrise, un sorriso che diceva tutto. Aveva un piano e non vedeva l’ora di esporlo per vedere i nostri sguardi stupiti.
“Prestami l’accendino.”
Lanciai il mio zippo verso di lui che lo afferrò al volo. Lo sfregò con abilità sui pantaloni, si accese una Marlboro e poi lo posò al centro della mappa. Il rombo di un aereo distrasse tutti e per un attimo volgemmo lo sguardo diretto al cielo. Quando scomparve all’orizzonte, finalmente Mark espose il suo piano, indicando la mappa illuminata dalla fiamma tremolante.
Soldati improvvisati
Quella notte dormii poco. Il piano di Mark era buono, ma necessitava di migliorie a cui avevamo contribuito tutti. Alla fine avevamo approvato la strategia da adottare a notte fonda, o al mattino presto, decidete voi.
Quando le prime luci del giorno mi svegliarono, ringraziai il cielo che l’attacco sarebbe avvenuto in nottata. Il fastidioso mal di testa del dopo sbornia non era la condizione ideale per andare in guerra. L’esperienza insegna, credetemi.
Certo, non che ne avessi molta, ma quando scoppia un conflitto del genere, c’è poco tempo per imparare. Se vuoi sopravvivere abbastanza per vedere il giorno dopo, devi trasformarti da un semplice civile ad uno spietato soldato nel giro di poche ore. Non tutti ce la fanno, perché nessuno è mai pronto alla guerra, nemmeno i soldati veri. Figuriamoci i civili come me e il resto della squadra, che ci eravamo trovati a combattere in una delle guerre più sanguinose della storia.
L’equilibrio mondiale nel 1945 era più precario che mai, il conflitto era inevitabile, lo sapevano tutti. L’Europa intera stava mobilitando i suoi eserciti, pronti ad intervenire in quello che si sarebbe poi rivelato il conflitto più sanguinoso della storia. Di guerre nel mondo ce ne sono state un’infinità, ma nessuna come questa. Non parlo solo per il numero delle nazioni coinvolte e nemmeno per la potenza delle nuove armi. Parlo del nostro nemico.
Sapevamo da tempo che i russi stavano lavorando su esperimenti biologici per mettere a punto un nuovo tipo di arma, ma ci rendemmo conto troppo tardi di quanto pericolosi fossero quegli esperimenti.
Le notizie trapelavano poco a poco dai servizi segreti, che cercavano in tutti i modi di mantenere il massimo riserbo. La popolazione non doveva sapere, era sempre la solita vecchia lurida storia.
Quando erano accaduti i primi incidenti in Russia nessuno aveva dato loro troppo peso. Un villaggio massacrato in un paese dal nome impronunciabile. Poi i villaggi erano diventati due, poi decine. Quando erano cadute le grandi città, era già troppo tardi. Il virus sviluppato dai Russi si era rivelato un’arma di tale indicibile potenza da risultare incontrollabile. Si erano fermati solo una volta, dopo aver conquistato tutto il continente asiatico, mentre l’Europa intera si alleava nella speranza di poter proteggere i suoi confini. Erano trascorsi dieci anni prima di un nuovo attacco ma, per quanto l’Europa fosse preparata, non aveva potuto nulla contro un nemico del genere. L’ultimo baluardo della Resistenza era stata l’Inghilterra, le cui coste sembravano essere inespugnabili. Il nemico giunse anche lì.
Quando era intervenuta, l’America si era resa conto che aveva ampiamente sottovalutato la minaccia del virus, ed ora, quella che era iniziata come una delle tante guerre per la supremazia del potere, era divenuta una guerra per la sopravvivenza della nostra specie.
L’esercito accoglieva tutti, aveva bisogno di tutti. Le strade si erano riempite di uomini e donne di ogni razza, di ogni religione, di ogni ceto sociale. Operai, tecnici, insegnanti, agricoltori… perfino i ragazzi. Chiunque fosse in grado di poter maneggiare un’arma, poteva far parte della Resistenza.
La Resistenza è l’unica cosa che ci accomuna tutti, eliminando ogni differenza tra gli uomini. Dal nulla sono nate squadre improbabili come la nostra, dove Ronny, che nella vita si è sempre occupato solo di progettare edifici, adesso è diventato un esperto di demolizioni e attacchi furtivi.
Oppure Mark, un semplice impiegato, si è trasformato in uno stratega formidabile e comanda a bacchetta tutti quanti, compreso Giuppy che prima della guerra era abituato a dare ordini e fare il capetto in una multinazionale.
Sotto certi punti di vista questa situazione ci ha migliorato, su questo non ho dubbi. Il combattere fianco a fianco, il trascorrere ore con persone che mai avrei potuto conoscere in una vita normale, mi ha fatto capire molte cose. Io almeno la penso così e anche Jackstrow, ma lui non lo ammetterebbe mai. Grazie alla guerra (strano modo di dire, ma non trovo di meglio), ha superato i pregiudizi razziali che una società marcia ha sempre mantenuto, con i suoi falsi moralismi e le sue innumerevoli contraddizioni.
Ora lui e Tommyleee sono inseparabili e nessuno avrebbe mai scommesso un cent che Jack in ogni missione avrebbe affidato la sua vita al “Ciaina”, una storpiatura di Cina in inglese che, come avrete capito dal soprannome, ha origini orientali.
Nessuno ha mai capito un granché di quello che dice, parla poco l’inglese americano e il suo inglese è più “amelicano” che “americano”. Si fa capire, che è quello che conta e non si tira mai indietro.
La cosa più strana è che nessuno avrebbe mai creduto che una squadra del genere potesse avere una minima possibilità di terminare con successo anche la missione più semplice, come far la guardia ad un magazzino di provviste. Eppure siamo forti, anzi non per vantarci, siamo fortissimi.
Forse il segreto sta nel fatto che ognuno è venuto al mondo con una capacità innata, ma che raramente la vita normale ci avrebbe permesso di scoprire. In guerra, un architetto può scoprire che di essere in grado di demolire un edificio con due colpi di mortaio, che un dirigente può centrare un bersaglio in movimento a duecento iarde, che uno studente universitario come me può scaricare due M-16 in dodici secondi e dominarne senza fatica il rinculo.
Un rombo assordante mi distolse dai miei pensieri, un aereo passò sopra di noi facendo vibrare le vetrate.
“Sono sempre più vicini” disse Mark, facendomi sobbalzare per lo spavento.
“Già… da quando hanno cambiato rotta non c’è un attimo di pace…”
Lui annuì, poi mi offrì una sigaretta. Rifiutai con un cenno, non avevo ancora capito come potesse fumare di prima mattina, soprattutto dopo i postumi di una sbronza.
Scostai le tende appena, mentre la luce fastidiosa di una giornata autunnale insolitamente bella si diffuse nella stanza. Sul balcone c’era ancora la fila di bottiglie vuote di birra. Ne vedevo otto, ma supposi che fossero di più. Avevamo decisamente esagerato. Il fatto che Mark fosse ancora lì, ne era la conferma.
“Io vado… ci sentiamo stasera. Alle 03.00, sulla terza ansa a sud del fiume. Attento a non farti ammazzare.”
Annuii, mentre lui si richiudeva la porta alle spalle, lasciandosi dietro una piccola scia di fumo.
C’era ancora tempo, dovevo solo preparare l’attrezzatura, ma lo avrei fatto più tardi. Ora volevo solo godermi un po’ di pace.
Missione Compromessa
Fummo tutti puntuali e in leggero anticipo. Nessuno di noi aveva avuto particolari problemi a raggiungere il punto d’incontro, forse perché nessuno aveva ritenuto pericolosa quella zona della mappa. Meglio così.
“Controllate l’armamentario, indossate i visori e aspettate il segnale prima di sparare. Giuppy, dacci il via.”
Si fece sentire dopo quasi un minuto.
“Scusate, ho problemi a ricevervi con l’auricolare. Sono pronto. Uno…due…”
Al tre ci muovemmo quasi in contemporanea, come solo una squadra affiatata riesce a fare. Sette figure vestite di nero si immisero nelle acque fredde del fiume, quasi indistinguibili nel buio della notte. Procedemmo in fila indiana, costeggiando il lato sinistro che offriva un po’ più di riparo, camminando accucciati con le armi a filo d’acqua. I visori notturni dipinsero il paesaggio con tutte le tonalità di verde, consentendoci di muoverci con sicurezza nelle tenebre.
Il piano di Mark era buono, ma molto azzardato. Dovevamo arrivare fin sotto il ponte inosservati, senza ingaggiare col nemico. In tal caso la fuga sarebbe stata la nostra unica possibilità di salvezza. Una volta sotto il ponte, Jack avrebbe fatto il resto piazzando del C4, mentre gli altri avrebbero dovuto proteggerlo. Semplice e letale, ma il problema non era il ponte, ma arrivare fino al ponte.
Forse avremmo anche potuto farcela, anzi ne ero sicuro. Con quelle uniformi nere, eravamo quasi invisibili nell’oscurità. Il piano di Mark avrebbe funzionato, se avessimo saputo in realtà contro chi stavamo combattendo.
Di solito riusciamo ad ottenere informazione anche molto precise sugli obiettivi della nostra missione, ma qualche volta si doveva andare alla cieca. Questa era una di quelle.
Sapevamo che il nemico era forte, molto forte. Si era fatto un nome in giro e in poco tempo. Voleva dire che non era un nemico come gli altri, perché solo i migliori spiccano e vengono ricordati. Anche la Ghost Squad si era fatta un nome e con il tempo eravamo divenuti temibili sul campo di battaglia. In molti si ritiravano all’improvviso appena entravamo in azione e quelli che non si ritiravano beh… hanno imparato ad evitarci.
I Chimy erano come noi. O quasi.
Non erano un nemico normale, erano nemici veri. Ci sono persone che in una guerra decidono di stare nel giusto, qualunque cosa succeda. Altri invece che vanno dove tira il vento, schierandosi dalla parte del più forte senza nessuna remora, senza nessun senso dell’onore. Di solito sono le stesse persone che si comportano così anche nella vita normale, nei posti dove la guerra non è ancora arrivata, approfittando di ogni occasione per raggiungere il loro obiettivi, con qualunque mezzo e sotterfugio, senza morale ne dignità.
I Chimy facevano parte di quest’ultimi, ma ce ne accorgemmo solo quando fummo sotto il fuoco delle loro terribili armi.
Una raffica sibilò rompendo il silenzio e illuminando con sfere gialle il cielo, prima di infrangersi contro un tronco galleggiante.
“Ci hanno scoperti! GIU’ SUBITO!”
Ci immergemmo immediatamente nel fiume, mentre tutti cercavano di arretrare il più velocemente possibile. Sopra di noi i proiettili di un Bullseye si moltiplicarono fino ad illuminare la notte, mentre i nostri visori faticavano a mettere a fuoco qualunque cosa.
“NON POSSIAMO STARE QUI! VIA VIA VIA! Fuori dal fiume e verso ovest! Sparpagliamoci negli edifici!”
Non c’era bisogno di dirlo, tutti eravamo già intenti a lasciare quelle torbide acque. I proiettili sfrecciavano ovunque, ma giungevano da lontano, gli spari erano imprecisi e quel tipo di arma non consentiva certo di fare miracoli. Riuscimmo a raggiungere il primo edificio dopo una corsa forsennata, poi continuammo a corre come folli per le vie deserte della cittadella, seguendo Ronny che conosceva quella zona meglio di tutti noi. Ci condusse nel sotterraneo di un edificio crollato, accedendo attraverso un anfratto nascosto da bassa vegetazione. Un ottimo nascondiglio, ma pur sempre un nascondiglio.
“COME DIAVOLO HANNO FATTO A VEDERCI?”
“Con i visori?”
“Se non li abbiamo visti noi, non possono averci visto loro” intervenni.
“Se non fosse per la scelta delle loro armi saremmo tutti morti! Mark? Che si fa?” domandò Giuppy mentre armeggiava con il fucile.
“Io dico che dobbiamo levarci di qui in fretta. Qualcuno può attirare quaggiù quei maledetti, magari con una bomba a tempo, mentre noi li circondiamo. Ho visto un edificio poco distante, può coprirci Jack e…”
“Non sono una scelta.”
Ci zittimmo tutti un attimo, poi attendemmo che Mark continuasse il suo ragionamento.
“Le loro armi intendo, non sono una scelta.”
Capimmo al volo. Il nostro nemico veniva direttamente dalla Russia e con sé aveva la sua arma più terribile.
“Chimy… non è solo il nome della squadra. Sono tutti mutati!”
“Questo cambia tutto… ecco come hanno fatto a vederci.”
“E ci troveranno in fretta se non ci muoviamo! Possono vedere anche oltre i muri, se sono abbastanza vicini!”
“Per ora facciamo come ha detto Ronny. Jack e Tommyleee, voi ci coprite le spalle. Tu piazza del c4 in giro, inutile qua dentro, vedrebbero che non c’è nessuno. Gli altri con me.”
Uscimmo in due scaglioni, attendendo che i nostri compagni raggiungessero in sicurezza le varie postazioni.
Io ero nervoso, non mi piaceva quella storia.
Sapete, non mi piacciono i mutati, non sono abituato a combatterli.
Sono strani, diversi. E pericolosi, molto pericolosi. Le loro armi sono avanzatissime e micidiali e, pur avendo qualche punto debole, risultano decisamente più letali dei nostri M-16. Unica possibilità sarebbe stata quella di colpirli da lontano, cercando di sfruttare la maggior precisione dei nostri fucili. Il problema consisteva nel tenerli a distanza. Quei mostri sono velocissimi, e una volta che ti stanno addosso, è quasi impossibile seminarli, e poi, come aveva detto Ronny, vedono attraverso i muri. Non esiste nascondiglio che può ritenersi sicuro per molto. Noi avevamo solo i nostri visori che a ben poco servivano fuori dall’oscurità più totale. Si stava mettendo male, molto male.
“Li ho visti. Tre a sud, due a est.”
“Riesci a beccarli?”
“Sono veloci, ma con il mio Fareye posso centrarli senza problemi.”
“Allora fallo ma…”
Mark non fece in tempo a finire la frase che il colpo del fucile di precisione rimbombò nella notte.
“Preso. Ma… è ancora vivo!”
Sparò subito un altro colpo e poi un terzo.
“Spara allo zaino!”
Seguirono una serie di sproloqui fino a quando Jack annunciò di avere avuto successo.
“Scendete da lì subito! Con il casino che avete fatto, ci saranno addosso in un attimo!”
“Sono maledettamente veloci.”
“Quanti ne hai seccati?”
“Uno.”
“UNO SOLO? CAZZO!”
“L’ho centrato quattro volte al petto, ma non moriva!”
“DEVI SPARARE ALLO ZAINO! Rompi il loro sistema di raffreddamento e quei bastardi mutati diventano torce umane in meno di 5 secondi!”
“Pensi sia facile prendere lo zaino a questa distanza, Foglia?”
Mark accusò il colpo, me lo immaginai arricciare il labbro superiore mentre cercava di ignorare la frecciatina.
Nel frattempo TomLeee disse qualcosa con la sua strana pronuncia inglese e subito dopo cominciò a sparare all’impazzata.
“VIAVIAVIA!”
La fuga fu caotica come non mai, ognuno prese una direzione diversa, tranne Jack e Ciaina che, come al solito, sembravano pensare con la stessa testa. Io trovai rifugio in un edificio in fiamme, lanciai a caso del C4 vicino all’entrata e poi mi nascosi nel sottoscala.
Di solito restare nascosto non mi reca problemi particolari, adoro attendere le prede con pazienza, l’attesa mi trasmette una sensazione molto forte. Quel senso di tensione, il cuore che batte lentamente, il rumore del respiro, tutti i sensi vigili ad ogni cambiamento dell’ambiente. Un’ombra che si muove, il rumore di un passo, lo scricchiolio del pavimento, un qualunque dettaglio che può indicare l’avvicinarsi del nemico. Quella volta, ricordo che ero teso. Le mani mi sudavano, i miei sensi distratti, il dito tremante sul grilletto. Lo capii pochi istanti dopo, quando dei colpi ovattati si infransero sul muro alle mie spalle. Ero io la preda.
Mi spostai appena in tempo prima che i colpi di un Auger penetrassero nel muro oltrepassandolo con bagliori luminosi. Uscii dal mio nascondiglio e corsi intorno all’edificio nella speranza di sorprendere il mio nemico alle spalle e soprattutto di trovarlo da solo. Un’idea che aveva avuto anche lui, ci trovammo faccia a faccia appena svoltato l’angolo. Vidi nei suoi occhi viperini un attimo di incertezza, il che mi permise di premere il grilletto per primo. Scaricai sul suo corpo mutato l’intero caricatore, sperando che fosse sufficiente per porre fine alla sua vita. Quando cadde al suolo sparando al cielo con la sua arma futuristica, non persi tempo ad accertarmi della sua morte.
Corsi via, mentre il Chimy si dimenava a terra mordendo l’aria con le sue zanne ed emettendo versi disumani.
“Chi ha ingaggiato? CHI HA INGAGGIATO?”
La voce di Mark mi urlò nella testa con insolita potenza. Un rapido scambio di appelli radio, poi la seconda domanda.
“Uno in meno, bravo Sephir. Cerca di raggiungermi alla zona industriale, mi è venuta in mente un’idea che potrebbe funzionare. Venite tutti alla fonderia e raccogliete tutte le bombe incendiarie che trovate sul cammino.”
“E il C4?”
“Buttatelo. Io sarò all’ingresso dietro la porta. Prima di entrare, avvisatemi o vi faccio saltare con tutta la baracca.”
Consultai la mappa velocemente, la fonderia non era lontana. Decisi in ogni caso di evitare le strade principali e compiere un giro tortuoso tra i vicoli. Molto più facile far perdere le proprie tracce. Incontrai a metà strada Giuppy e poco più avanti Ronny. Insieme arrivammo senza spiacevoli incontri al punto stabilito, dove Mark ci stava attendendo.
“Gli altri?” domandai.
“Sono in zona, ma li hanno alle calcagna.”
A conferma una serie di esplosioni seguiti da qualche colpo singolo del Fareye di Jackstrow.
“Speriamo non si facciano ammazzare…”
“Quei bastardi sono resistenti! Ne abbiamo seccato solo uno con tre bombe! Ho dovuto sparare allo zaino per farlo fuori! Ci stanno dietro! Sono veloci! SONO VELOCISSIMI!”
“MA SIAMO SENZA GRANATE INCENDIARIE!”
“Fa nulla, pensate solo ad arrivare qui interi.”
Poi Mark si rivolse a noi, mentre indicava con la canna del fucile il C4 che aveva piazzato intorno all’ingresso.
“Questo lo useremo nel caso arrivino prima i Chimy dei nostri. Quante bombe incendiare abbiamo?”
Ne avevamo solo tre e non era certo un bene.
“Allora non ci resta che usarle al meglio. Dovrete usarle solo quando sono in gruppo. Per il resto ci affideremo alla fornace.”
“Alla fornace?”
Mark sospirò impaziente, poi si decise a chiarire il concetto.
“I Chimy sono così veloci e resistenti perché il loro metabolismo è quattro volte più rapido di quello umano. Merito del virus che li ha mutati. Un metabolismo del genere velocizza anche il processo di rigenerazione dei tessuti accelerandone la guarigione. Per questo motivo hanno quello zaino refrigerante innestato nel corpo, per evitare di andare a fuoco. Quindi…”
“Se li attiriamo qui con questo caldo infernale…”
“Saranno più vulnerabili, esatto” completò Mark. “Tuttavia ciò non basterà, dovremo evitare i loro colpi in uno spazio chiuso e sarà molto difficile. Forse non tutti ce la faranno.”
“Ma loro sono in cinque, noi in sette. Potremmo farcela”
Jack e Tommy varcarono la soglia riportando la squadra al completo.
“Vero, poi noi abbiamo ancora le uniformi bagnate e questo ci permetterà di sopportare meglio il calore delle bombe incendiarie. Di poco, ma meglio di niente.”
Fu sempre Tommyleee, con una frase incomprensibile, ad attirare la nostra attenzione. Stavano arrivando.
Ci rifugiammo tutti il più lontano possibile dalla porta proprio accanto alle bocche dell’altoforno.
“Quanti Ricci hai, Jack?”
“Tutti e due.”
Nessuno si stupì troppo. D’altra parte lo chiamavamo Riccio proprio perché preferiva usare i Ricci piuttosto che le bombe normali. Erano armi del nemico molto pericolose. Una volta lanciate, esplodevano scagliando aculei di metallo in ogni direzione.
“Allora usali appena li vedi passare.”
Jack si avvicinò alla porta, seguito come un’ombra dal compagno orientale. Fu ancora lui a segnalare quando scagliarli.
Questa volta le sue parole furono in italiano, o quasi.
“Licci! LICCI! JACK!”
E Jack li scagliò fuori dalla porta in rapida successione, prima di riportasi subito al riparo.
Uno sciame di aghi di metallo s’infranse nella strada, tempestando la porta come grandine e frantumando le vetrate. Le urla acute dei Chimy ci confermarono che Tommyleee aveva visto giusto e che Jack aveva fatto centro. Ma il difficile doveva ancora arrivare.
Entrarono tutti e cinque uno dietro l’altro, con una velocità incredibile. Aprimmo il fuoco insieme ma quei mostri sembravano non accusare alcun colpo. Poi Mark fece esplodere il C4. Un’esplosione a catena che investì in pieno l’intero gruppo scagliandolo in aria. Il calore già alto della fonderia diventò insopportabile e un paio di Chimy s’incendiarono come torce. Tutti noi avevano sperato intimamente che sarebbe bastato il C4 per farli fuori, ma quando cominciarono in cinque a far fuoco, ci rendemmo conto della dura realtà. I proiettili dei Bullseye illuminarono di arancio l’aria cercando di infiltrarsi con le loro traiettorie in ogni pertugio.
“CONCENTRATE IL FUOCO SU UN CHIMY ALLA VOLTA!”
Eseguimmo l’ordine e subito dopo i nemici divennero quattro, poi tre, ed infine due. I primi ad esplodere furono quelli con lo zaino danneggiato dalle esplosioni. Gli altri rimasti si tenevano ben lontani dal calore dell’altoforno, evidentemente, a parte il loro aspetto animalesco, erano tutt’altro che stupidi.
Ci volle poco per capire che, per quanti colpi sparassimo, i pochi che andavano a segno non erano sufficienti a impensierire il nemico. A toglierci da quella situazione di stallo, fu la nostra superiorità numerica. Per quanto potenti fossero le loro armi, prima o poi le munizioni sarebbero terminate, lo sapevamo entrambi. Era solo questione di tempo, prima che il conflitto prendesse un’altra piega. Le possibilità erano due: o i Chimy si sarebbero ritirati, oppure si sarebbero lanciati in un attacco corpo a corpo, il che per assurdo li rendeva ancora più temibili. La resistenza di quelle creature e la loro velocità di movimento potevano avere la meglio, però accanto all’altoforno, nel caso della seconda ipotesi, le nostre probabilità di sopravvivenza erano superiori.
“RICCIO!”
“LICCIO!”
Le voci di Tommy e Jack si sovrapposero annunciando la granata esplosiva. Tutti si gettarono a terra per evitare la detonazione. Aculei di metallo sfrecciarono invisibili in ogni dove e, sebbene la maggior parte andasse a vuoto, altri andarono a segno. Quello messo peggio fu proprio Tommy, che si accasciò a terra ansimando. Jack uscì di scatto dal nascondiglio sparando con il Fareye il solo colpo in canna, ma non c’era già più nessuno nella stanza.
“STANNO SCAPPANDO!”
“JACK TU RESTA CON TOMMY! GLI ALTRI CON ME!”
Uscimmo di corsa dall’edificio, giusto in tempo per vedere il nostro nemico dirigersi verso la cittadella.
“MALEDIZIONE! Vogliono nascondersi negli edifici!”
“Separiamoci! Io e Sephir li inseguiamo, voi cercate di aggirarli. Chi ha le bombe, le usi anche solo per ammazzarne uno.”
Così facemmo. Seguii Mark dentro il vicolo e appena li vidi, cominciai a sparare.
“Piantala di sprecar colpi, non li prendi di sicuro da qui.”
“Se prendo anche per sbaglio lo zaino…”
Mark non disse nulla, ma iniziò a sparare. Dopotutto la mia idea non era poi così cattiva. Non prendemmo lo zaino, ma riuscimmo a rallentarli, costringendoli a proseguire mentre si proteggevano le spalle a vicenda. Quando però superammo l’ennesimo vicolo, una tempesta di proiettili ci costrinse a cercar riparo. Subito dopo un’esplosione tremenda ci scagliò in aria.
“SEPHIR! SEPHIR!”
La sua voce arrivò bassa, ovattata, come un rumore di sottofondo.
“Ci sono… messo male ma ci sono.”
“Riesci a sparare?”
Annuii, sebbene i miei occhi non riuscissero a mettere a fuoco le immagini e un fischio nelle orecchie mi pugnalasse la testa come uno spillo.
Provai ad alzarmi, ma le gambe cedettero, anche solo orientarmi era un problema.
“Stai GIÙ! GIÙ!”
Poi di nuovo spari, una raffica vicina. Era Mark che cercava di proteggermi. “Nasconditi! C’è il Rana sopra di loro. MI SENTI? GIUPPY, MI SENTI?”
Non rispose, ma riuscii a vederlo sopra un tetto. Era proprio sopra i Chimy, ma loro non si erano accorti della sua presenza.
“Quel maledetto auricolare! Gli ho detto mille volte di cambiarlo!”
“MI SENTI, GIUPPY?”
Finalmente cominciò a saltare. Un salto breve per il sì, due per il no. Codice semplice che era divenuto per tutta la squadra il modo di capirci nel caso ci fossero stati problemi di comunicazione.
“HAI UNA BOMBA?”
Un salto.
“LANCIALA DI SOTTO! POI MIRA AGLI ZAINI!”
Ronny attese qualche istante poi lanciò non una, ma due bombe incendiarie in rapida successione. Il gas sfrigolò nell’aria per qualche istante fino a saturarla e solo allora i nemici si accorsero del pericolo. Tentarono di fuggire dal vicolo, ma un turbine di fiamme li travolse con tutta la sua potenza.
“SÌÌÌ!”
Giuppy cominciò a saltare come un pazzo a destra e sinistra, poi sparò in ogni direzione come una trottola. Smise quando i proiettili di un Bullseye lo investirono facendolo cadere. Dal muro di fuoco vedemmo delinearsi le sagome umanoidi dei due Chimy, che ancora vivi e che, con il corpo in fiamme, avanzavano verso di noi sparando proiettili traccianti. Se solo uno di quei colpi fosse andato a segno, tutto il resto della potenza di fuoco del nemico si sarebbe indirizzato automaticamente sul bersaglio.
Mark fece di tutto per difendermi, ma alla fine le ferite subite lo costrinsero a cercare riparo.
Non mi restava che sperare in una raffica di mitra andasse a segno e che fosse sufficiente a fermare o a mettere in fuga i Chimy. Premetti a fondo il grilletto e cominciai a sventagliare con tutta la potenza di fuoco rimastami. Svuotai entrambi i caricatori nello stesso momento ma avevo soltanto rallentato quella che pensavo fosse la mia fine. Poi improvvisamente il Chimy più lontano cadde a terra senza vita.
Alle sue spalle Gatto Morto tentava di sorprendere con lo stesso attacco furtivo anche il secondo nemico. Non vi riuscì per un soffio ma, quando si diede alla fuga, scoprimmo che aveva preso le sue precauzioni. La bomba incendiaria esplose dietro di lui, rischiando di carbonizzarlo insieme al Chimy.
“OTTIMO LAVORO RAGAZZI! OTTIMO LAVORO! Forza non ci resta che raggiungere il ponte e farlo saltare. Forza! Tutti al ponte, procuratevi del C4. Abbiamo sgombrato tutto il territorio della mappa, fate pure con calma.”
Tutti si separarono prendendo strade diverse, non vi era motivo di preoccuparsi visto che i Chimy erano stati eliminati. Io decisi di ripercorrere la strada che conoscevo, per cercare di arrivare al ponte prima possibile. Non restava che completare l’obiettivo della nostra missione, e far saltare il ponte non sarebbe stato un problema. Era incredibile che fossimo sopravvissuti senza subire perdite, capitava molto raramente.
Non trovai del C4, ma non me ne preoccupai, ci avrebbe pensato qualcun altro. Quando però raggiunsi l’edificio in fiamme, un colpo di energia per poco non mi fece saltare la testa. Mi guardai intorno, in tempo per notare scariche elettriche di un Auger disperdersi in un muro.
“C’E? N'È ANCORA UNO!” urlai via radio.
“COME ANCORA UNO?”
“IL PRIMO CHE MI HA ATTACCATO! È ANCORA VIVO!”
Mark cominciò la sua raffica di insulti, questa volta erano per me. E aveva ragione. Non mi ero assicurato che quel maledetto Chimy fosse morto. Corsi intorno all’edificio, ma mi trovai una seconda volta faccia a faccia con lui. Mi urlò addosso la sua rabbia, con quella testa serpentina deforme, osservandomi con i suoi troppi occhi. Non sparò nemmeno, si limitò a colpirmi con forza scagliandomi a terra. Un impatto tremendo, ma mi allontanò abbastanza per permettermi di tentare la fuga. Un tentativo che fallì miseramente, lui era troppo veloce.
Provai a sparagli, ma il mio fucile emise solo una serie inutile di click. Ero rimasto senza munizioni. D’altra parte se mi chiamavano il Senza, un motivo c’era.
Quando se ne accorse, decise di uccidermi nel peggiore dei modi, ripose la sua arma e si avvicinò con calma.
“SONO SENZA MUNIZIONI! SONO SENZA MUNIZIONI!”
Mark continuò ad imprecare.
Poi mi venne in mente che una munizione ancora c’era. L’avevo abbandonata lì durante il primo incontro con quel maledetto mutato. Sarebbe stato rischioso, ma in fondo non avevo nulla da perdere. Cercai furiosamente il detonatore agganciato alla cintura e, quando lo trovai, lo premetti immediatamente. Il C4 che avevo usato per mettere in sicuro la porta dell’edificio dove mi ero nascosto, esplose scagliando ovunque detriti e investendo il Chimy. Per un attimo credetti che fosse finita, ma l’esplosione non era stata sufficiente. Lui era ancora lì, con solo un fil di fumo che fuoriusciva dallo zaino refrigerante.
“Non ti muovere Sephir.”
Era Jack.
“STAI FERMO.”
Poi la voce di Tommyleee aggiunse qualcosa, molto simile a “spala, spala!”.
Non potei far a meno che ridere a quel pensiero.. Per un attimo mi immaginai Jack con una pala in mano intento a spalare. Stavo per morire e mi veniva da ridere per la pronuncia buffa di Tommy, poi Jack “spalò”.
Il rumore di un singolo colpo risuonò nell’aria, lontano, quasi impercettibile. Un secondo dopo lo zaino del Chimy esplose in fiamme.
“CIAINA, TRITALO! TRITALO!”
Tritare il nemico era la specialità di Tommy, in pratica non mollava il grilletto fino a quando non aveva finito tutte le munizioni. Non importava se il nemico facesse o meno la stessa cosa contro di lui. Tommy restava fermo come una statua e continuava a sparare fino a quando fosse morto e sparava pure dopo. Il suo modo per dire al mondo che ne aveva le scatole piene e poco importava se sarebbe morto, se c’era una sola possibilità che avrebbe portato all’inferno anche qualcun altro.
Così Ciaina cominciò a tritarlo, anzi a “tlitallo.”
Quando ebbe finito i colpi, esultò nella sua lingua madre. Nessuno di noi capiva cosa stesse dicendo, ma tutti esultammo con lui.
Completammo la missione meno di cinque minuti dopo, raggiungendo Mark che ci aveva aspettato. Avrebbe potuto benissimo far saltare il ponte da solo, ma eravamo una squadra e quel momento di gloria doveva essere condiviso da tutti.
“Lo faccio saltare?”
“Fallo.”
Il ponte esplose collassando su se stesso in una cacofonia di rumori ed esplosioni, sollevando nubi di polvere e fumo.
Poi Rana iniziò di nuovo il suo buffo balletto della vittoria.
La squadra Fantasma aveva vinto un’altra battaglia.
Mai troppo vecchi
“Ma dove eri quando hai sparato, Jackstrow?”
“Sul tetto della fonderia” rispose a Mark.
“Accidenti, che razza di fortuna!”
“Non si tratta di fortuna. Sono semplicemente un ottimo cecchino.”
“See, see…”
“Ma taci, continua a sparare alle foglie…”
“Ehi ragazzi… io scappo. Domattina inizio alle 5.”
“Stamattina vorrai dire, Giuppy” risposi.
“Io faccio turno pomeridiano, me la dormo alla faccia tua.”
“E tu Ronny? Quando ti decidi a cambiare quel diavolo di auricolare?”
“No, non cambiarlo. Altrimenti ti devo trovare un altro soprannome.”
“Bye Ghost! Good Wolk Tonight!”
“Bye Tommy, see you tomorrow, for another mission.”
“Un’altra missione domani? Non so se ci sarò”, dissi, ma sapevo che non sarei mancato per nulla al mondo.
“Roba da nulla, sarà una passeggiata. Ci vediamo in giornata.”
“A che ora gente?”
“Domani sera dopo cena. Portate la birra. E non dimenticate il Joypad.”
“La birra non possiamo farla portare alle hostess? Abiti talmente vicino all’aeroporto che arriverebbe 'al volo'!”
“Bravo… bravo. Che battutona. Scommetto che era tutta la sera che ci pensavi.”
Un paio di risate rimandarono gli ultimi saluti.
“Alla prossima battaglia, Fantasmi.”
Ci scollegammo dalla rete quasi tutti insieme. Guardai l’orologio appeso alla parete, fra qualche ora sarebbe iniziata una giornata normale. Ero stanco, ma soddisfatto.
Certe volte mi viene da pensare che sono troppo vecchio per certe cose. Eppure ogni volta che prendo in mano un pad, non posso ignorare che mi diverto un sacco.
C’è chi si diverte correndo dietro a un pallone e chi facendo una guerra finta in un videogioco. L’importante non è come divertirsi, ma divertirsi e continuare a giocare. Perché, come ha detto saggiamente qualcuno, non si smette di giocare perché si diventa vecchi, ma si diventa vecchi quando si smette di giocare.
Nessun commento:
Posta un commento