Questo racconto è stato scritto per un bando lettario sulla pubblicazione dell'Arma dei Carabinieri.
Putroppo dopo averlo scritto ho dovuto rinunciare a parteciparvi a causa dei limiti dello stesso.
Pochi sanno che spesso (sempre) i bandi hanno regole ferree, tra cui la lunghezza del racconto.
Io ho superato abbondantemente la lunghezza prevista, ma ho voluto esplicitamente lasciar perdere perchè la storia a mia avviso necessitava più spazio di quello consentito. Una storia che non è particolarmente rivoluzionaria ammetto, ma che mi ha portato a parlare dell'Arma dei Carabinieri mettendo il luce anche alcune sfaccettature che di solito restano nascoste.
Oggi sento la tv accanirsi sul comportamento inaccettabile di alcuni militari mettendo in dubbio l'incorruttibilità dell'Arma stessa, oltre che far di tutta l'erba un fascio.
Troppe volte ho sentito i media bistrattare carabinieri che FANNO il loro lavoro. Ad esempio quel carabiniere che per non essere travolto da un estintore ha ucciso l'aggressore... per dirne una.
Tra le più recenti due presunti stupratori di straniere, e un neonazista che appende la bandiera in caserma, coltivazione di marjuana nel giardino della caserma...
E io non ci sto. Perchè non è giusto che degli Eroi vengano massacrati in questo modo per colpa di elementi singoli che ovviamente non hanno NULLA A CHE FARE con l'Arma e i suoi principi.
In questo racconto prendo in considerazione gran parte di queste cose. Bravi detective e agenti corrotti, incapacità di comando e coraggio degli agenti. Insomma un pò di tutto, barzellette comprese.
Forse anche per questo motivo il racconto non avrebbe trovato spazio tra le pagine della pubblicazione. Non tutto ciò che vorremmo che fosse l'Arma è vero. Non sempre fanno tutto bene, come praticamente tutti in qualunque campo. C'è del buono e del meno buono, come in tutte le cose. Ma come in questo racconto CREDO FORTEMENTE che l'Arma sia fatta prima di tutto di PERSONE.
Persone che fanno i militari, ma pur sempre PERSONE.
Achab
-Nathan Blade e Danilo Simoni-
“Lo sa perché sulle macchine dei
Carabinieri scrivono ‘Carabinieri’ sulla portiera? Perché altrimenti entrate
dal bagagliaio!”
Sorrisi più per cortesia che per la battuta,
già vecchia quando ero bambino. Ne ho sentite talmente tante sui Fedelissimi
che raramente riescono a strapparmi una risata.
“Carina, vero? Quasi quasi la racconto al
‘capo’”
“Lasci perdere, o potrebbe sbatterla dentro
per oltraggio a pubblico ufficiale.”
“Esiste ancora quell’accusa? Va beh, uscirò
dopo due minuti. Tanto ho visto che se ammazzi un cristiano, tra buona condotta
e altre minchiate te la cavi con meno di dieci anni…”
Annuii con un sorriso amaro sulle labbra.
Certe volte sembra veramente che il nostro lavoro non abbia senso. Chiudiamo un
caso importante, acciuffiamo un mafioso o un pluriomicida, ma basta un buon
avvocato per girare le carte in tavola; un foglietto scribacchiato da uno
psichiatra per motivare azioni folli compiute in piena lucidità; un magistrato
compiacente che “dimentica” di depositare un atto, o qualche altra minchiata
del genere a rendere inutili anni di lavoro. Senza contare l’opinione pubblica
e i mass media. Certe volte penso veramente che il nostro lavoro non abbia
senso.
“Ehi!”
Lo
spazzolone del Sig. Ronnel cade a terra trascinandosi il secchio in cui era
riposto. Il liquido lercio si spande sul pavimento tutt’intorno.
“Maledizione Ronnel! Sempre in mezzo ai
piedi! Pulisci sta merda, subito! Lei, tenente, invece di bighellonare, si dia
da fare! L’aspetto fra mezz’ora nel mio ufficio con un rapporto dettagliato sul
caso Achab!!”
Annuii cercando di mascherare i miei
pensieri, ma non credo di esserci riuscito molto bene. Non che me ne importasse
molto. Il “capo”, come lo chiamava il Sig. Ronnel, era uno stronzo.
Non vi
stupite, che gli stronzi sono dappertutto. Anche da noi. E di solito,
esattamente come il mondo là fuori, ricoprono incarichi che non dovrebbero mai
avere.
Ronnel stava cercando di recuperare a fatica
lo spazzolone da terra e di non scivolare sull’acqua saponata, puntellandosi
sulla gamba sana. Lo precedetti e quando gli porsi lo spazzolone, mi ringraziò
con un sorriso.
“Lei è una brava persona, mi dispiace…”
“Lasci stare. Nottata nera. Sarà di malumore
per tutto il giorno. Le consiglio di levarsi dai piedi alla prima occasione.”
“Lo farò tenente. Ma il “capo” meriterebbe
una lezione.”
Feci spallucce e lo salutai con un cenno,
prima di sparire nel mio ufficio. La mezz’ora successiva sarebbe stata pessima.
Come del resto le dieci ore precedenti.
Achab
aveva colpito di nuovo e noi eravamo ancora con un pugno di mosche in mano.
Il caso
“La scientifica non ha trovato impronte,
capelli, o tracce che possano in qualche modo fornire qualche indizio.”
“Strano…” pensai.
“E’ evidente che Achab deve avere doti
fisiche non comuni. La porta dell’appartamento non presenta effrazioni. L’unica
traccia di scasso è su una finestra del nono piano.”
“Nono?”
“Esatto e non ci sono scale anti-incendio,
alberi o quant’altro. Supponiamo abbia scalato nove piani aggrappandosi alla
grondaia.”
“Ma siamo sicuri che sia stato Achab?”
“Chi avrebbe potuto utilizzare uno
squamapesce come arma? Fra mezz’ora avrò i giornalisti tra i piedi e che nessuno,
dico nessuno, accenni ad Achab! Ci manca solo che quegli avvoltoi riempiano le
pagine con fiumi d’inchiostro sul quel mostro. In un lampo ci troveremmo decine
di emulatori a sviarci le indagini.
A
parlare ci penso io! Voi datevi da fare!”
“Già, noi
ci diamo da fare… tu ti dai da fare a fare un c…. Se poi qualcuno di Noi
risolve il caso, Tu prendi subito il merito come al solito.”
“Tenente! , tutto chiaro?”
Annuii, anche se avrei voluto far altro. Ci
sono regole che questa divisa mi impone e che proprio non mi vanno giù.
Esco e mi rifugio nel mio ufficio, dove
sorseggio del pessimo caffè freddo, mentre mi costringo a guardare di nuovo le
foto del coroner in cerca di un fottuto indizio. Questa volta il corpo
martoriato era quello di un avvocato, una donna dai bei lineamenti che
indossava un vestaglia di seta e pizzo. Parte del volto era sfigurato da un
taglio irregolare, provocato dalla stessa arma che le aveva trafitto il cuore:
uno squamapesce da cucina.
Senza
dubbio era stato Achab. Di nuovo lui.
Avevamo impiegato quasi nove mesi per
concludere che i diversi delitti avevano qualcosa in comune. La prima vittima
probabilmente era stata Rafferty, un ladruncolo da quattro soldi che bazzicava
al porto. Fu trovato sotto il molo 34 legato ad un palo con una rete da pesca.
Erano occorsi sei giorni per riuscire a identificare ciò che restava di lui.
A
maggio fu la volta del Guizzany, il titolare di un’impresa edile.
Apparentemente una brava persona, in realtà indagato dalle Fiamme Gialle per
sfruttamento di immigrati clandestini, evasione fiscale e altre beghe
burocratiche. Quando abbiamo interrogato i dipendenti nessuno sembrava
particolarmente stupito o dispiaciuto della fine che avesse fatto. Era affogato
dentro un secchio di quelli che si usano per lavare i pavimenti.
Meno
di due giorni dopo un altro delitto, questa volta compiuto in un parco
pubblico.
Si
trattava di uno di noi: un generale dell’Arma. E fu la svolta
Una cosa è commettere un omicidio, mentre
altra è uccidere un carabiniere.
Potrei mentirvi e dire che tutti i casi
vengono trattati allo stesso modo, ma non sarebbe giusto perché non sarebbe la
verità. Se a morire è uno di noi, la questione cambia. Diventa un fatto
personale.
Il generale era una brava persona, così almeno
dice chi l’ha conosciuto. Sta di fatto che la notizia della sua morte ha fatto
tremare non solo l’Arma, ma anche il governo. Il risalto dato dai Mass Media ha
contribuito a fornirci di tutto il supporto tecnico ed i mezzi per una caccia
all’uomo che continua ancor oggi. E’ grazie a queste indagini minuziose che
sono riuscito a identificare Achab.
Già, perché sono stato io a scoprire che il
Generale era solo una delle vittime di un assassino seriale.
Il legame era talmente evidente che mi sono
stupito di come nessuno avesse trovato collegamenti prima di me.
Rafferty ucciso con una rete da pesca,
Guizzany affogato, il Generale fiocinato con un arpione da sub. All’inizio la
mia ipotesi era talmente strampalata che il “capo” mi aveva dato dell’idiota.
Anche due mesi fa, quando fu trovato il corpo del Firones, un rivenditore di
auto usate non troppo onesto. Trovarono il suo corpo dentro una Citroen Ds del
68. Dov’è il nesso? Quel modello era anche sprannominato “Squalo”.
Ora, con il ritrovamento della Sig.ra Carney
con uno squamapesce nel petto, ci era arrivato anche lui. Anzi, ora
l’operazione Achab è diventata addirittura una Sua idea.
Bah,
gli stronzi sono ovunque.
Tornando al killer: sappiamo che è
agilissimo, se è capace di scalare nove piani; probabilmente non molto robusto;
dotato di un’ottima mira per riuscire a centrare il cuore di una persona con un
arma come una fiocina da sub, tutt’altro che precisa.
Qualunque sia il movente che lo spinge ad
uccidere, denota una persona maledettamente in gamba, ma anche pericolosamente
sociopatico, seppur anche intelligente a tal punto da lasciare volontariamente
una firma che riconduce a lui. Il modo in cui uccide, le armi, i luoghi, tutto
fa pensare al mare.
Speriamo che quello stronzo del “capo” non
si lasci sfuggire alla stampa il nomignolo che gli abbiamo affidato, o quel
momento di notorietà, di fama e gloria, potrebbe invogliare il killer ad
aumentare il passo. Senza contare che potrebbe cambiare modus operandi, magari
anche la firma, unico vero indizio che ci permette di seguire le sue tracce.
“Quindi?” domanda il ‘capo’, entrando
improvvisamente nel mio ufficio.
“Quindi devo fare un nuovo sopralluogo. Con
la luce del giorno sarà più facile notare evenutali altri indizi.”
“C’è già andata la squadra di Rossi. Tu
resta qui e fai azionare quel cervellino, in fretta. Non potremo tener nascosto
Achab alla stampa ancora per molto.”
“Se sono
tutti come te, c’è poco da preoccuparsi…”
Le tre di notte
E’ brutto svegliarsi a notte fonda. Più
brutto ancora se a farti scattare sull’attenti è la voce del “capo”.
Achab
non ha perso tempo. Meno di 12 ore dall’ultimo delitto. Corro in centrale con
le sirene accese, mentre il lancinante rumore mi ferisce i timpani. Non c’è
peggior risveglio, credetemi.
Nella sala riunioni trovo oltre il “capo”
anche Rossi.
“Alla buon’ora, tenente. Mentre Lei dorme,
c’è gente che lavora. Rossi, esponga i fatti.”
Rossi inizia subito a parlare, con il suo
accento piemontese. E’ veloce e minuzioso, arrivando subito al punto.
“Achab ha ucciso ancora. La vittima è
Grandin, uno spacciatore della zona est, una vecchia conoscenza. Lo ha fatto a
due passi dai Navigli, in un vicolo davanti a un pub.”
“Come sappiamo che è stato lui?”
“Non sono in molti che uccidono con uno di
questi.”
Rossi preme velocemente qualche tasto sul
telefonino e poi me lo pone davanti agli occhi. Ci metto un attimo per
focalizzare la foto sul piccolo display, poi distolgo lo sguardo dal ribrezzo.
“Però abbiamo una pista. Lo hanno visto.”
Lo
guardo incredulo e lo invito a proseguire.
“Non molto alto, decisamente magro e molto,
molto veloce”
“Veloce?”
“Uno dei nostri era in zona in borghese e
proprio a due passi dall’accaduto. E’ intervenuto subito tentando di inseguirlo
dopo aver dato l’allarme.”
“Se lo è lasciato sfuggire?”
Rossi annuisce amareggiato.
“Diciamo che nessuno sarebbe riuscito a
prenderlo: ha seminato Roman.”
Lo guardai incredulo. Roman era un veneto di
1.90m, uno dei migliori atleti dell’arma. Gareggiava a livello nazionale in
diversi tipi di competizioni, tra cui la staffetta. Seminare Roman era
praticamente impossibile. Stavo ancora realizzando quello che mi era stato
detto, mentre Rossi continua a profondere informazioni.
“Ci
sono telecamere di scurezza in tutto la zona, entro 12 ore dovremmo avere le
registrazioni. C’è la possibilità che il nostro uomo sia stato ripreso.”
“Non ci
conterei troppo”
“Forza! Al lavoro! Tornate subito sul luogo
del delitto, che quattro occhi sono meglio di due!”
Agganciato
Alle prime luci dell’alba la città non offre
un bello spettacolo. Fatico a guardare il corpo senza vita disteso a terra.
Questa volta Achab è andato sul pesante. Dalla bocca del Grandin sbuca parte
del gancio metallico e della sua impugnatura. Il resto sporge poco oltre l’orecchio destro. Un paio di
denti sporchi di sangue fanno capolino dalla guancia strappata.
Abbandono la scena seguendo Rossi e lasciando
gli uomini della scientifica ai loro rilievi. So già che non troveranno
impronte. Achab non sarebbe mai stato tanto stupido. Però questa volta ha
rischiato grosso. Orario, luogo affollato… una fuga rocambolesca. Difficile
pensare che tutto sia andato secondo i suoi piani.
“Ha seguito questo vicolo e poi ha svoltato
di qui, dove Roman ha ceduto.”
“Mmm…”
“Qualche idea?”
“Non ti sembra strano che abbia rischiato
così tanto?”
“Non poteva sapere di Roman…”
Annuii,
ma non troppo convinto.
“Qui non c’è più molto da fare. Torniamo in
centrale.”
“Al
‘capo” cosa diciamo?”
“Che lavoriamo su una pista.”
“Ma non abbiamo nulla.”
Feci spallucce. “Ha ben altro a cui
pensare.” dissi indicando un’edicola.
Il giornale
“L’omicidio avvenuto in tarda serata nella
zona dei Navigli sembra essere l’ultimo di una lunga serie. Le forze
dell’ordine da mesi cercano di catturare il serial killer da loro stessi
soprannominato Achab, causa il suo modus operandi. Tra le vittime anche il
Generale dell’arma dei Carabinieri, ucciso con un arpione da sub nel parco
cittadino...”
Poi appallottolò il giornale con rabbia e lo
scagliò con forza verso il cestino, mancandolo nonostante fosse a un paio di
metri da lui.
“Adesso e’ sulla la bocca di tutti! Se
scopro l’idiota che ha parlato con i giornalisti, lo sbatto in cella e butto la
chiave nel cesso! Cosa racconto adesso all’opinione pubblica, eh? Lo capite che
qua la faccia ce la metto io?”
“Si,
solo quella… e la metti anche quando devi vantarti dei successi della squadra
davanti al sindaco, ma non ti lamenti mai in quei casi…”
“Tenente, Lei e Rossi, almeno, avete
combinato qualcosa?”
“Ci stiamo lavorando.”
“Lavorate più in fretta!”
La sala riunioni si svuota in poco più di un
minuto. Rimaniamo solo io e Rossi.
“Meglio del previsto.”
“No, peggio. Non abbiamo in mano quasi
nulla.”
“Mi riferivo alla sfuriata del ‘capo’.”
Alzai
le spalle in segno che non me ne importava molto.
“Sono arrivati i filmati di sorveglianza.”
“Andiamo allora.”
Due
ore dopo avevamo raccolto solo due occhi gonfi dal sonno e da troppe ore
davanti al monitor. Di Achab nessuna traccia. L’unica telecamera che avrebbe
potuto riprenderlo era fuori uso.
Una
strana coincidenza, ma secondo me le coincidenze non esistono.
“Giornata no, vero? La sa quella dei dei carabinieri
e la torta di compleanno?”
Non ero in vena per le barzallette e volevo
solo andare a riposare. Eppure non riuscii a dire di no e mi avvicinai al Sig.
Ronnel.
“Quanto tempo ci mette un carabiniere a
scrivere tanti auguri sulla torta di compleanno? Due ore e quattro secondi.
Quattro secondi per scrivere tanti auguri sulla torta. Due ore per toglierla
dalla macchina da scrivere!”
Sorrisi, anzi mi scappò una risata. Non la
conoscevo e in qualche modo mi rallegrò la gioranta.
“Achab non le fa chiudere occhio, vero? Ha
una cera…”
“Anche lei non ha una bella faccia.”
“Il cane, quel maledetto cane non mi fa
chiudere occhio.”
“E il vicino?”
“Se ne fotte”
“Vuole che intervenga? È disturbo alla
quiete pubblica.”
“Lasci
stare, che dopo, oltre il cane, avrò anche il vicino che abbaia… e poi ha già
tante rogne a cui pensare. Comunque la ringrazio. Ora mi scusi, devo andare a
pulire l’ufficio del ‘capo’. Meglio farlo mentre è impegnato con i
giornalisti.”
Lo
salutai seguendolo con lo sguardo, mentre zoppicava trascinandosi il secchio e
lo spazzolone.
Sei mesi dopo
Dopo il risalto che dettero i mass media al
serial killer ci aspettavamo sostanzialmente due cose: un aumento improvviso di
delitti, oppure una completa cessazione. Fortunatamente accadde la seconda. A
parte il primo mese dove fummo sommersi di segnalazioni e falsi avvistamenti
dei soliti mitomani. Quando finalmente le acque tornarono calme e i giornalisti
trovarono altri argomenti su cui speculare, potemmo dedicarci in modo
continuativo alle indagini. Il risultato non fu certo confortevole. Achab sparì
lasciandoci con un pugno di mosche in mano. Almeno fino ora.
Perché
ora è tornato e non ho intenzione di farmelo scappare.
Il testimone
“La vittima è un banchiere, un certo Marc
Barell. Benestante, viveva solo in una villetta nella zona est.”
“Siamo sicuri che sia stato Achab?”
“Non sono in molti che strangolerebbero un
uomo utilizzando del filo da pesca.”
“Filo da pesca?”
“Un cavetto d’acciaio di poco più di 1
millimetro di spessore, con tanto di amo infilato in gola.”
Ad interrompere Rossi la voce sgraziata del
‘capo’.
“Era ora, tenente! La si prende comoda!”
“Nevica, e le strade sono uno schifo. Ho
fatto prima che potevo.”
“Nevica per tutti tenente. Non solo per
lei.”
“Ma
taci idiota, che sei qua solo perché era il tuo turno. L’ultima volta sei stato
a casa solo per aver sentito le previsioni del tempo…”
“Piuttosto, hai già interrogato il
testimone?”
“Testimone?”
“Sveglia tenente! Rossi informalo e datevi
una mossa!”
Guardai stupito il collega, che attese che
il ‘capo’ abbandonasse la stanza prima di continuare il discorso.
“Un testimone c’è, davvero. Non ho fatto in
tempo a dirtelo, che lui ci ha interrotto prima…”
“E’ attendibile o si tratta del solito
malato in cerca di cinque minuti di fama?”
“Penso sia attendibile. Comunque puoi
verificarlo di persona, è nella stanza degli interrogatori.”
“Vuoi che lo interroghi io?”
“Penso che otterresti migliori risultati…”
Non capii il senso di quelle parole finchè
varcai la soglia della stanzetta comunicante. La stanza due per tre, dalle
pareti spoglie, eccezzion fatta per il finto specchio. Un tavolo spartano
imbullonato al pavimento e tre sedie, due delle quali appoggiate ad una parete.
L’unica occupata era quella vicino al tavolo e su questa era accomodato il Sig.
Ronnel.
Sul
mio viso lo stupore, che lui notò subito.
“Sorpreso, tenente?”
“Sig. Ronnel?”
“Mi spiace che l’abbiano tirata giù dal
letto a quest’ora e con questo tempaccio.”
“E’ lei il testimone?”
Il suo tono scherzoso sparì di colpo, come
la sua voce. Rivolse lo sguardo al tavolo e annuì con il capo. Forse Rossi
aveva ragione. Il testimone questa volta era attendibile.
“Torno subito. Attenda un attimo…”
Mi ripresentai qualche minuto dopo con due
tazze di caffè fumante. Non si trattava di gentilezza, ma di semplice lavoro.
Erano le cinque di mattina per entrambi.
Nessuno dei due aveva dormito e molti dettagli tendono a essere rimossi da una
mente stanca. Serviva tutta la nostra attenzione per non perdere nulla dei
ricordi di quella notte. Il caffè poteva darci una mano o forse saranno state
un sacco di stronzate, trattandosi solo di una semplice gentilezza.
“Mi racconti quello che è successo. Tutto,
dall’inizio.”
“Oh, beh. Dunque… Non chiudevo occhio per
via del cane, ricorda? Quella bestia questa notte aveva il diavolo in corpo.
Non mi ha dato cinque minuti di tregua! Così, non potendo dormire ho deciso di
uscire a fare una passeggiata.”
“Alle tre di notte? Sotto la neve?”
“Beh, sempre meglio che prendere nervoso
rigirandomi tra le coperte. E poi è bello camminare di notte in una città
innevata. Io lo trovo rilassante, lei no?”
Annuii, comprendendo cosa intendesse dire.
“Sta di fatto che appena esco sento ancora
quel cane, ma con latrati più forti. Insomma non abbaiava come al solito, ma
con una foga diversa. Sembra strano, ma dopo mesi che mi tiene sveglio di
notte, ho capito che quell’abbaiare era insolito, diverso in qualche modo. Così
ho deciso di andare a controllare.”
“A controllare il cane?”
“Beh, magari segnalava qualcosa, attirando
l’attenzione in quel modo. Infatti era così.”
“Non la seguo. Cosa c’entra con l’omicidio
di Marc Barell?”
“Oh diamine. Il cane era suo!”
“Marc Barell era il suo vicino di casa?”
“Certo, ma forse mi sono dimenticato di
dirglielo, vero?”
Annuii,
ma lo invitai a proseguire.
“Percorro l’esterno del giardino e vado
verso il cane , che quando mi vede continua ad abbaiare, ma non verso di me!
Verso la casa. Vedo la luce della cucina accesa e ci guardo dentro, e… lo
vedo.”
“Cosa di preciso?”
“Un uomo. Alto, grosso, almeno quanto il
Barell, forse di più. E’ di schiena, ma vedo che sta sollevando il Barell con qualcosa.
Quello si agita un po’ e poi…”
Mima
uno svenimento sulla sedia, prima di continuare.
“Sbam… con la faccia dritto sul tavolo. Io
resto impietrito, lì a guardare come uno scemo l’assassino che in tutta calma
sparisce in un’altra stanza. Non so cosa abbia combinato, ma poco dopo parte
l’allarme dell’abitazione. Due minuti dopo arriva una vostra pattuglia ed
eccomi qua.”
“E l’assassino? Ha visto da che parte è
scappato?”
Scosse
la testa.
“Io sono rimasto di fianco la cuccia del
cane per tutto il tempo. Non mi sono mosso! Ero terrorizzato! Se quel bestione
mi avesse visto mi avrebbe fatto a pezzi! Ma con un cane di fianco, forse… Lo
so cosa pensa… che sono un codardo, ma è facile parlare quando non si è
nella…nella…situazione!”
“Non
penso che lei sia un codardo, Sig. Ronnel, altrimenti non sarebbe qui a
testimoniare. Può darci qualche dettaglio in più sulla fisionomia dell’uomo?”
I conti non tornano
Alto oltre il Barell, che di suo era già due
metri buoni. Corpulento e molto forte, su questo non c’è dubbio. Strozzare un
uomo con un cavo richiede molta forza. Se poi la vittima è un colosso di due
metri… Eppure è strano. Tutti gli indizi facevano pensare ad un altro tipo di
corporatura. Difficile immaginare un bestione del genere scalare nove piani
appeso a una grondaia. E tantomeno riuscire a seminare Roman tra i vicoli.
Oppure l’uomo inseguito da Roman non era Achab. O questo non era Achab.
“Ronnel ha firmato la deposizione. Possiamo
rilasciarlo.”
“Lo accompagno io, grazie Rossi.”
Lo
trovai ad attendermi seduto sulle panchine all’ingresso. Mi accolse con un
sorriso stanco.
“Può andare sig. Ronnel… il suo aiuto è
stato molto prezioso.”
Scosse
la testa non molto convinto.
“Ci vediamo fra tre ore.”
Lo
guardai perplesso.
“Lavoro qua, ricorda?”
“Non si preoccupi, resti pure a casa e
cerchi di riposare. Dopo la notte che ha trascorso, nessuno avrà molto da
ridire se si prende un permesso.”
Lui annuì, si alzò e aprì la porta della
centrale. Un vento freddo traportò fiocchi di neve all’interno. Rimasi a
vederlo sparire dietro la via, lasciando impronte nella neve fresca.
Impronte
Avrei
dovuto tornare al lavoro, compilare un mucchio di scartoffie che nessuno
avrebbe mai letto, ma non mi andava.
Decisi
di rimanere lì fuori al freddo fumando una sigaretta, cercando di liberare la
mente da tutte le preoccupazioni.
Aveva
ragione Ronnel. Guardare la città innevata rilassa. Il profumo della neve, il
riverbero delle luci e il silenzio… Sarebbero durati solo qualche ora, forse
meno, poi tutto sarebbe tornato alla normalità.
Rossi mi sorprese alle spalle facendomi
sobbazare.
“Scusa, pensavo mi avessi sentito arrivare.
Ho udito l’interrogatorio: un bel casino vero?”
“Già…”
“Alcuni minuti fa sono arrivate queste dalla
scientifica. Io gli ho dato un occhio, ma non ho trovato nulla di utile.”
Mi porse una serie di fotografie in una
cartelletta trasparente. La prima mostrava la casa della vittima. Una bella
casa, una villetta addirittura. L’uscio era socchiuso, preceduto soltanto da un
breve vialetto che attraversava il giardino innevato. La seconda fotografia fu
un pugno nello stomaco. La vittima era seduta sulla sedia con la testa rivolta
verso il soffitto. Un cavetto d’acciaio usciva dal collo apparentemente dal
nulla per arrivare a terra gocciolando sangue.
L’assassino aveva strattonato talmente forte che il filo metallico
scompariva nella ferita intorno alla gola. La terza foto fu la più terribile.
Inquadrava il volto cianotico e lo sguardo pieno di terrore degli ultimi attimi
di vita di quell’uomo. Nella gola si intravedeva un oggetto lucente, un grosso
amo da pesca d’alto mare. Scorsi le foto più velocemente sperando di non vedere
altro orrore. Fortunatamente il peggio era passato e la maggior parte dei
restanti scatti raffiguravano i diversi locali dell’abitazione e del giardino
adiacente. C’era una foto anche del cane che non faceva chiudere occhio al Sig.
Ronnel.
“Nulla?”
Scossi la testa, riconsegnai le foto al
collega e feci l’ultimo tiro di sigaretta prima di lanciare il mozzicone con
uno schiocco delle dita. Si spense in uno sfriglio appena percettibile dentro
una delle impronte che rovinavano la perfezione del manto bianco.
Fu un
attimo, una frazione di secondo. Succede sempre così. Un dettaglio apparentemente
insignificante. Strappai le foto dalle mani di Rossi che rimase esterefatto. Le
scorsi velocemente fino a trovare quella che mi interessava e poi la osservai
meglio sfruttando la luce di uno dei lampioni sopra la porta.
“Rossi! Hai da fare questa notte?”
Mi
guardò stupito.
“Ti scoccerebbe darmi una mano a catturare
Achab?”
Mi guardò come fossi un pazzo. Poi quando
capì che non stavo scherzando annui serio. Rossi è un tipo in gamba, credetemi.
Non parla molto, ma è maledettamente in gamba.
Due giorni dopo
Le 48 ore seguenti furono determinanti. Un
lavoro che non piace a nessuno, ma che deve essere fatto. Ricercare prove. Io e
Rossi cercammo documenti, fatture, trascorremmo ore al telefono e ancora di più
al computer cercando informazioni di ogni tipo. I risultati non si fecero
attendere e furono più incredibili di ogni aspettativa. Ora avevamo tutto
quello che ci serviva. Dovevamo solo catturare Achab, ma non eravamo
preoccupati per questo. Sapevamo dove trovarlo.
“Ops… mi scusi tenente, pensavo fosse vuota…”
“Non si preoccupi Ronnel. Entri pure, non mi
disturba.”
“La vedo stanchissimo, tenente. Da quanto è
che non dorme?”
“Da un po’. Senta, le spiacerebbe se le
chiedo un consiglio?”
“Vuole un consiglio, da me?”
“C’è qualcosa che non riesco a capire, che
non riesce a nessuno di noi. Forse perchè siamo Carabinieri…”
Sorrise,
non molto convinto, ma sorrise.
“Gli occhi di un civile spesso vedono cose
che i nostri non vedono più.”
“Beh, se posso dare una mano… cosa dovrei
fare?”
“Le chiederò molto, ma dovrà riguardare
delle foto scattate due sere fa presso il suo vicino.”
Rimase
un attimo titubante. Poi si avvicinò con un sospiro.
“Se è da fare, si fa.”
Gli
mostrai le foto, riguardanti l’abitazione, dall’ingresso al giardino.
“Nota nulla di strano?”
“Mmm, veramente no.”
“Guardi meglio. In questa zona.” dissi
indicando il giardino e il lato della casa.
Lui
scosse ancora la testa, ma aveva capito.
“Le impronte dell’assassino!”
“Ma io non vedo impronte, quelle sono le
mie… L’assassino sarà passato dal vialetto principale, che è sgombro dalla
neve…”
“Esatto! E’ quello che ho pensato io! Entra
dal vialetto, uccide, scatta l’allarme e fugge di nuovo da dove è entrato.”
“Concordo, deve essere andata così anche per
me.”
“Però le cose non tornano, perché in realtà
in questa foto mancano delle impronte. Mancano le sue impronte.”
Ronnel
cambiò espressione, avendo ormai capito tutto.
“Vede, Sig. Ronnel, lei ha detto che si è
avvicinato alla cuccia passando dal giardino, che però è coperto di neve.
Quindi ci dovrebbero essere delle impronte che partono dal vialetto e arrivano
alla cuccia.”
“Scusi, tenente, ma qui io vedo due file di
impronte” indicò la foto con il dito “andata e ritorno”.
“Esatto! Ma non possono essere le sue. L’ho
notato quando se né andato l’altra sera. Lei è zoppo! Trascina una gamba e
sulla neve una delle due impronte risulta trascinata! Ma qui invece abbiamo la
prima fila delle Sue impronte perfetta, mentre la seconda, quella del ritorno,
è trascinata!”
“Ma, ma…”
“Le dico come è andata. Lei è entrato in
casa del Barell, lo ha ucciso ed è uscito. Sentendo le sirene della pattuglia
si è diretto velocemente sul retro passando dal giardino. Nonostante questo è
stato sorpreso dagli agenti e ha dovuto rinunciare alla fuga. Poi dalla cuccia
del cane al vialetto è tornato indietro zoppicando, perché tutti la conoscono
in centrale e sanno della sua zoppia.”
“Mi sta accusando per un crimine che non ho
commesso.”
“Non la sto accusando per un crimine, ma per
tutti i crimini attribuibili ad Achab. Perché Lei è Achab!”
“Ridicolo!”
“Crede? Ecco cosa abbiamo scoperto sul suo
conto. Ha tentato di entrare nell’arma per ben quattro volte: test attitudinali
superati brillantemente; ottimi punteggi in tutto, compresi quelli fisici dove
si è dimostrato un atleta eccellente. Non che la cosa potesse stupire, visto
che ha partecipato alle selezioni nazionali per le olimpiadi del 2000, per le
quali poi purtroppo venne scartato per doping; un Q.I. decisamente sopra la
norma, unito ad una personalità instabile. Questo in base alle cartelle
psichiatriche, l’unico ostacolo che le ha impedito di diventare uno di noi.
Devo continuare o è abbastanza intelligente da capire che è stato smascherato?”
Rimase immobile, ma le mani strinsero con
forza il manico dello spazzolone fino a mostrare le nocche bianche.
Non
aggiungendo altro proseguii:
“Come vuole, veniamo ai moventi. Non è stato facile, devo ammetterlo.
Un ladruncolo, uno spacciatore, un imprenditore, un venditore d’auto usate, un
generale, un avvocato, un banchiere. Partiamo dall’ultimo. Il direttore di
banca, avantaggiato dalle informazioni a disposizione grazie al suo ruolo, ha
estinto l’ipoteca della sua casa accapparrandosi una fetta di proprietà.
L’avvocatessa, a cui si è rivolto per difendere i suoi diritti dopo il divorzio
dalla moglie. L’impresario che ha costruito la sua casa senza possedere il
terreno, rendendo l’abitazione pagata da lei effettivamente non sua, ma del
proprietario del terreno, in questo caso la banca.”
“Tre stronzi!”
“Vero. Ciò non toglie che lei li abbia
uccisi.”
“Tre stronzi in meno sulla terra.”
“Vuole andare avanti lei Achab?”
“Il generale non ha capito che ero un ottimo
carabiniere al servizio della legge. Un generale che aveva un Q.I. inferiore a
quello di una scimmia! Al comando dell’Arma! Cosa ne voleva sapere lui! Il
venditore d’auto usate, non ha fatto che rifilare rottami a brave persone. Su
una delle sue auto mia figlia ha rischiato di morire. E’ rimasta zoppa e poi le
droghe me l’hanno portata via due anni fa.”
“Lo spacciatore.”
“Lo sapevate che ci lavorava da anni, eppure
non avete fatto nulla per fermarlo! Era compito vostro, non mio! Sapete quanti
ragazzi muoiono ogni anno, mentre voi fate le indagini? Tutto per arrestare un
boss che resterà in galera forse… un mese! A pagare non sarà lui, ma tutte le
vittime della droga! Potevate salvare un sacco di gente!”
Poi fece un respiro e tornò a parlare con la
solita calma.
“Lei è in gamba tenente. Mi fa piacere che
sia stato lei a scoprirmi. Sapevo che sarebbe accaduto prima o poi.”
“Non così in gamba, da non capire il movente
del primo omicidio.”
“Oh, semplice. Era un ladro. Mi aveva
svaligiato la casa nel cuore della notte. Aveva legato e imbavagliato i miei
genitori. Picchiato un vecchio per una manciata di soldi. Era una bestia
quell’uomo…una bestia… come lo sono io ora. Ma la vostra ricostruzione ha punti
deboli. Non ho scalato nove piani dall’avvocato. Sono entrato dalla porta, dopo
aver suonato il campanello. L’ho uccisa, ho aperto una finestra e l’ho rotta.
Poi sono uscito dall’ingresso come se nulla fosse.”
“Lo immaginavo, ma le sue doti atletiche non
escludono nemmeno la prima ipotesi.”
“Anche Roman se la cava. Meno male che avevo previsto una via di fuga.”
“Sapeva della telecamera guasta?”
“Lavoro qui otto ore al giorno, ricorda?”
“Non capisco infatti come abbia potuto
commettere un errore come questo…Voleva essere fermato?”
Rise
e di gusto. La risata di un pazzo.
“No. Semplicemente non pensavo che quello
stronzo di banchiere avesse un allarme collegato alla centrale. Non mi avreste
mai preso… Almeno ha sofferto come un cane mentre lo strozzavo. Uno ‘strozzino’
strozzato. Divertente vero?”
La porta si spalanca di colpo. Il ‘capo’
entra con tutta l’arroganza di cui è capace, prende per il bavero il Sig.
Ronnel e lo sbatte con forza contro la parete. Ma quello non era più l’innoquo
Sig. Ronnel, l’uomo delle pulizie con la battuta pronta. Era Achab.
Afferra
lo spazzolone con mossa rapida e colpisce il ‘capo’ sotto il mento. Sempre
usando lo spazzolone come arma, continua con la sua raffica di colpi al volto
fino a quando il manico si spezza. Prima che riesca a immobilizzarlo, gli
infila in bocca il mocio fino quasi in gola.
“Non voglio ucciderlo! Non voglio
ucciderlo!” disse estraendo il mocio.
Il ‘capo’ rimase a terra ansimando, con il
naso rotto e il volto tumefatto.
“E’ un mio regalo per te!”
Lo
guardo senza capire.
“Secondo te chi ha fatto sapere alla stampa
di Achab? Prova a rintracciare le chiamente del suo cellulare. E controlla
anche il suo conto in banca. Troverai cose interresanti.”
“Perché lo hai fatto?”
“E’ uno stronzo. Quel posto spetta a uno
come te.”
“Uno come me che ti sta per sbattere dentro,
Achab… te ne rendi conto?”
Lui
mi presenta i polsi, pronto ad essere ammanettato.
“Sei tu che hai creato Achab tenente, te ne
redi conto? Tu pensi che io sia completamente pazzo, te lo leggo negli occhi.
Pensi che sia uno dei tanti malati mentali che, in preda a chissà quale delirio
uccidono secondo chissà quale schema. Tu pensavi che uccidere con una rete da
pesca o imprigionare un uomo dentro un’auto dal sopranome di un pesce, potesse
avere un significato. Non significava nulla! Semplicemente ho usato quello che
ho trovato sul luogo del delitto. Quando mi hai raccontato la tua teoria,
quella di Achab, mi è piaciuta così tanto che ho deciso di fartelo credere. In
fondo anche io seguivo il sogno di uccidere Moby Dick, anche se il mostro, nel
mio caso, erano i deliquenti che voi catturate, ma che la legge protegge.
Achab…
lo sa che aveva una gamba di legno? Io fingevo di zoppicare già prima che mi
appioppaste il nomignolo. Un segno del destino, non crede?”
Mi
incitò ad ammanettarlo.
“Quanto resterò dentro, tenente? Ricorda,
voi mi avete impedito di far parte dell’Arma per problemi psicologici? Esiste
un parere più autorevole del vostro?”
Feci
scattare le manette, raccolsi il cellulare del capo e lo trascinai in un’altra
stanza.
Achab
aveva ragione. Certe volte il nostro lavoro sembra non servire a nulla.
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